OMEGA 3 PER COLESTEROLO ALTO E MALATTIE CARDIOVASCOLARI: SONO REALMENTE EFFICACI?

OMEGA 3 PER COLESTEROLO ALTO E MALATTIE CARDIOVASCOLARI: SONO REALMENTE EFFICACI?

È frequente nel caso di colesterolo alto, se la situazione non è delle più gravi, che l’indicazione del professionista sia l’assunzione di un integratore di omega 3 ed omega 6. Ma è davvero un suggerimento (che nel caso del medico si traduce in prescrizione) che funziona? Per quanto sia l’approccio più diffuso, non sempre è realmente efficacie. In alcuni casi si, ma in altri può essere addirittura deleterio.

Comunemente si distinguono il colesterolo “cattivo” (LDL) da monitorare e ridurre in caso di valori alterati, e il colesterolo “buono” (HDL) che dovrebbe invece presentare valori elevati. Una componente chiave del colesterolo buono si chiama Apolipoproteina A1 (APOA1). APOA1 e più in generale il colesterolo buono HDL, sono da sempre identificati come fattori protettivi per le malattie cardiovascolari.

Ormai è noto che aumentare il consumo di fonti di Omega 3 ed Omega 6 riduce leggermente la quantità di trigliceridi nel sangue e aumenta il livello di colesterolo HDL. Ciò avviene perché aumentano le quantità di ALA, ovvero di Acido Alfa Linoleico, uno degli acidi grassi essenziali che compongono l’Omega 3. Fra gli acidi grassi essenziali, l’ALA è il metabolicamente meno attivo, ma il più importante in quanto da esso l’organismo è in grado di ricavare anche EPA e DHA altri due tipi di acidi grassi essenziali.

Per questo motivo viene spesso suggerito a chi soffre di queste problematiche di assumere alimenti ricchi di Omega 3. Cibi ricchi sono il pesce, in particolare le acciughe, le aringhe, lo sgombro, il salmone, le sardine, lo storione, la trota e il tonno, fonti vegetali, come i semi oleosi, in particolare noci o lino, e le alghe. Ma molto frequentemente vengono suggeriti o prescritti anche integratori di Omega 3.

Ma recenti studi hanno rilevato che gli Omega 3 potrebbero non essere realmente efficaci nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Un gruppo di studiosi della Cochrane Collaboration ha pubblicato un resoconto sugli acidi grassi Omega-3 analizzando 79 diversi studi, per un totale di 112.000 soggetti.

I risultati indicherebbero che la mortalità per disturbi cardiaci non risentirebbe di variazioni nell’assunzione di Omega 3, in quanto solo una minima parte dei soggetti che aumentano l’assunzione di ALA ne traggono un reale vantaggio, mentre EPA e DHA non sembrano avere effetti in materia di prevenzione, pur diminuendo la concentrazione dei trigliceridi nel sangue.

Tale studio ha rilevato che gli acidi ALA potrebbero avere un effetto molto modesto o nullo nella riduzione dell’incidenza di malattie cardiovascolari, riducendole dal 4,8 al 4,7%, nella mortalità per disturbi coronarici, riducendoli dal 1,1 al 1,0%, ed aritmia, riducendola dal 3,3 al 2,7%. Effetti che se reali, si rivelano comunque minimi, quasi irrisori. Sembrerebbe inoltre completamente irrilevante nella prevenzione dell’insorgenza di malattie cardiache ed ictus.

Ma a che cosa sono dovute queste differenze nei benefici ottenuti da un aumento degli Omega 3 nella dieta da parte dei diversi soggetti?

Ancora non è ben chiaro, ma uno dei fattori potrebbe essere di natura genetica. Alcune persone portano nel loro DNA una certa variante, che è rara, del gene che regola la produzione di APOA1. Per le donne che presentano questa variante è stato dimostrato che una dieta con un ricco apporto di Acidi Grassi Polinsaturi, come gli Omega 3 e gli Omega 6è efficace nell’aumentare la concentrazione del colesterolo buono e nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Per le donne che invece hanno la variante più comune (G), non solo gli Omega 3 e 6 non sono efficaci nell’aumentare l’HDL ma sembrano addirittura avere l’effetto opposto.

Solo i portatori della variante favorevole potrebbero quindi trarre un reale beneficio da un aumento di ALA.

Oltre che per le malattie cardiovascolari, gli omega 3 sono sempre stati considerati importanti per combattere lo stress ossidativo e per la rigenerazione cellulare, in quanto ne compongono le membrane e sono indispensabili per lo sviluppo del feto in gravidanza.

Gli omega 3 sono essenziali per il funzionamento dei neuroni, essendo costituenti fondamentali delle loro membrane cellulari. Il loro ruolo è quello di mantenerne la fluidità e di garantire la crescita e la comunicazione tra le cellule cerebrali.

Numerosi studi hanno suggerito che gli acidi grassi omega 3 possano avere effetti protettivi nei confronti di malattie neurologiche come l’Alzheimer e agire positivamente sull’umore e sul comportamento.

Infatti è risaputo che carenze di determinati nutrienti possono avere ripercussioni sullo stato sia fisico che psicologico, per esempio favorendo il manifestarsi dei sintomi tipici della depressione.

Quest’ultima è una delle problematiche di salute oggi più diffuse e si può trattare con diversi approcci. Tra questi assume un ruolo cardine una sana e corretta alimentazione che rifornisce il corpo di tutto ciò che gli serve per stare in forma sia a livello fisico che psichico. Uno studio ha monitorato oltre 1300 persone tra i 26 e i 36 anni e ha confermato i benefici di questi acidi grassi essenziali in particolare nelle donne. Durante lo studio a tutti i partecipanti sono stati somministrati dei questionari in cui dovevano riportare la frequenza con cui consumavano determinati alimenti.

Lo scopo dello studio era quello di verificare l’esistenza di una relazione diretta tra consumo di pesce, alimento ricco in omega 3, e comparsa della depressione.

Dallo studio è emerso che le donne che consumavano pesce almeno 2 volte a settimana e più in generale seguivano una sana e corretta alimentazione presentavano una riduzione del rischio di depressione. Ma tale associazione era evidente solo nelle donne. La motivazione resta ancora da chiarire ma potrebbe essere coinvolta una probabile interazione tra ormoni sessuali femminili e acidi grassi omega 3.

Inoltre occorre ricordare che omega 3 e omega 6 sono un aiuto valido per la depressione in quanto contribuiscono a produrre il cosiddetto ormone del buonumore, ovvero la serotonina. Nella genesi di un disturbo depressivo hanno un ruolo importante le variazioni del sistema della serotonina (5-idrossitriptofano, 5-HT), che è influenzato anche dallo stress quotidiano.

In particolare è stata notata una correlazione tra questi tratti emotivi e una variazione nella sequenza del gene 5-HTT. Questa variante, indicata come 5-HTTLPR (5-HTT-linked polymorphic region), influenza la ricaptazione della serotonina ed è quindi correla ad una minore capacità di gestire lo stress a cui si è quotidianamente sottoposti, fino a determinare l’insorgenza del disturbo depressivo.

In caso di disturbi dell’umore non è raro ricorrere ad un’assunzione deviata di cibo. Da sempre usato per festeggiare, calmare, per contrastare la noia e la depressione, e come consolazione nei momenti di tristezza e angoscia, o al contrario legato ad un’astinenza nei momenti di forte stress. Il rapporto fra disturbi emotivi e disturbi del comportamento alimentare è infatti pericolosamente stretto.

Per questo è importante che anche in momenti di forte stress, tale assunzione non sia eccessiva e sempre rispecchiante una dieta equilibrata.



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