CELIACHIA E GLIFOSATO: COSA FANNO GLI ERBICIDI ALLA NOSTRA SALUTE
La celiachia è una patologia da tempo conosciuta ma che solo da pochi anni a questa parte ha cominciato ad essere compresa ed adeguatamente affrontata, anche a causa del notevole aumento dei casi accertati. In Italia solo nel 2016 è stata diagnosticata a 15.569 nuovi pazienti, ben 5000 in più dei casi diagnosticati l’anno precedente, e si tratta di un numero in continua crescita.
Secondo uno studio del 2013 il notevole aumento dei casi di celiachia testimoniato negli ultimi anni potrebbe essere dovuto non solo alla presenza di glutine nei cereali e ad una migliore politica di informazione che porta quindi i soggetti che ne mostrano i sintomi e gli stessi medici a riconoscere più facilmente la condizione ed affrontarla adeguatamente, ma anche al sempre più intensivo utilizzo di un erbicida chiamato glifosato che viene impiegato come diserbante in moltissimi tipi di coltivazioni come vigneti, uliveti, frutteti e piantagioni orticole e cerealicole di ogni tipo.
Brevettato dalla Monsanto Company negli anni 70 e comunemente conosciuto come Ropundup, a partire dal 2001 (anno in cui è scaduto il brevetto) il glifosato ha cominciato ad essere l’erbicida più utilizzato al mondo per la sua efficacia anche sulle piante infestanti più resistenti e il basso impatto che ha sulla salute dell’uomo.
Nel 2010 l’Unione Europea ha dichiarato il glifosato non tossico per l’uomo, ma successivamente alcuni studi hanno mostrato come dei pesci esposti a questa sostanza tendano a sviluppare una ridotta attività dell’amilasi salivare, ovvero quell’enzima che permette l’inizio del processo di digestione del glutine già durante la fase della masticazione, ed un’alterazione della lipasi e della proteasi, enzimi anch’essi con un ruolo predominante nella digestione. Renderebbe quindi più difficoltosa la digestione del glutine.
È stata anche osservata una discontinuità delle pieghe mucose e un disordine nella struttura dei microvilli della parete intestinale tipica dei soggetti celiaci, insieme ad una secrezione esagerata in tutto il tratto digerente di mucina, una sostanza protettiva presente anche nell’apparato respiratorio. Queste caratteristiche ricordano molto ciò che accade in caso di morbo celiaco.
Ciò suggerisce che il glifosato potrebbe interferire con la degradazione delle proteine complesse del glutine a livello dello stomaco che in tal modo arriverebbe all’intestino in una fase ancora precoce della digestione e nella forma di grandi frammenti di grano o di cereali che attiverebbero poi la risposta autoimmune nell’intestino. Gli effetti sull’organismo di questi animali sarebbero molto simili a quelli sperimentati dai soggetti celiaci e farebbe quindi supporre la possibilità di un nesso fra l’intolleranza e questo specifico erbicida. Tale somiglianza traspare anche nello squilibrio dei batteri intestinali che si può rilevare in entrambi i casi: il glifosato riduce la popolazione batterica utile per il processo di digestione portando degli squilibri nella flora intestinale che possono favorire la crescita di agenti patogeni portando ad infiammazioni, intolleranze, allergie, e rendendo l’organismo più sensibile anche alle tossine e ad altri residui chimici presenti negli alimenti.
Anche carenze di ferro, cobalto, molibdeno, rame e altri metalli rari, solitamente associati alla malattia celiaca, possono essere attribuiti anche alla forte capacità di glifosato di chelare questi elementi, ovvero di renderli inaccessibili alle funzioni fisiologiche ed enzimatiche e quindi inutilizzabili dall’organismo. Allo stesso modo, come nella celiachia si presentano deficit di triptofano, tirosina, metionina e selenometionina, allo stesso modo il glifosato ha la pericolosa capacità di ridurre i livelli di questi aminoacidi.
Inoltre, i problemi riproduttivi associati alla malattia celiaca, come l’infertilità, aborti e la nascita di bambini con malformazioni possono essere spiegati anche dall’esposizione al glifosato.
Non è ancora certo quale sia di preciso il ruolo di questo erbicida nello sviluppo e nella diffusione della celiachia, ma è certo che una prolungata esposizione può provocare sintomi molto simili e non è quindi da escludere che esista una connessione di qualche tipo.
Spesso il glifosato è stato sotto accusa in quanto riconosciuto come sostanza probabilmente cancerogena, ma anche questa affermazione va ben contestualizzata in quanto è stato inserito nel gruppo 2A, ovvero le sostanze con limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo ma sufficiente evidenza negli animali e quindi forte possibilità che la cancerogenicità valga anche per l’uomo. In questa categoria rientrano anche le carni rosse, la frittura ad alte temperature, il lavoro notturno e l’esposizione dei parrucchieri ai prodotti che utilizzano durante le loro mansioni. Di conseguenza è probabile che sia molto più rilevante la sua dannosità a livello genetico ed intestinale che il suo livello di cancerogenicità.